29 gennaio 2012

29 gennaio 2012

Ha aspettato una delle più copiose nevicate degli ultimi vent’anni per andarsene.

Ha voluto assicurarsi che le scuole fossero chiuse, la circolazione difficile, qualcuno a costruire pupazzi al Valentino o giocare a tirarsi palle, come usava quando eravamo ragazzi, che la fioca era un pretesto per guardare fuori dalla finestra e divagare coi pensieri. Non uscire di casa, mettersi addosso un plaid, bere un te caldoe gioire della morsa dell’inverno. I rumori attutiti, il caos dimenticato, un inconsueto silenzio. Il momento migliore per dire addio alla Crocetta, sollevarsi dalla terra e volare via come un omino del suo amato Chagall. Francesco Tabusso ci ha lasciati, quando Torino si risvegliava assonnata e coperta da un manto bianco. La sua città gli ha regalato l’ultima nevicata, il soggetto prediletto della sua pittura, quello che amici e collezionisti amavano di più, nonostante sia stato autore di quadri altrettanto efficaci e intensi.

È vero, quando scompare un artista antico come era lui, c’è il rischio di ricordarlo con troppa nostalgia, prigionieri di quel sentimento d’antan che se non riesce a riportarci indietro nel tempo almeno ci regala l’illusione dell’eterna giovinezza.

Emerse, lui strenuamente figurativo, nella stagione dell’Informale astratto con i suoi coetanei Ruggeri, Saroni e Soffiantino. Ha corso solo eppure accompagnato dalla stima dei suoi colleghi. Solo chi non conosce la pittura, la su amagia, poteva liquidarlo come un artista tradizionale; ma chi ne conosce i codici, le regole, i segreti avverte la raffinatezza a e la maestria di Tabusso. Bisogna fidarsi del parere dei pittori più che di quello dei critici: se Nicola De Maria lo ammirava, spiegando a tutti che davvero era il migliore, bisogna credere alla sensibilità dell’occhio assoluto, equivalente di ciò che i musicisti avvertono nei confronti delle note.  A Tabusso mi sono avvicinato tardi. Complice il gallerista Giampiero Biasutti ho avuto l’onore di scrivere per lui in occasione della mostra a Spoleto. Lo andavo a trovare quando già era sofferente nel corpo ma vivace e attivo nel mettersi al lavoro. Credo che questo piccolo grande uomo mancherà molto a Torino. Spero davvero che non sia dimenticato in fretta, come è accaduto ad altri.

In ogni caso ogni volta che la neve tornerà sare in molti a pensare a lui.

 

Luca Beatrice da Torinosette La Stampa 3 febbraio 2012

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